martedì 5 luglio 2016

Maestro Murray regola – ancora – il Padawan Kyrgios

Immagino che quasi tutti conosciate la storia di Obi-Wan Kenobi e Anakin Skywalker: il primo, saggio e abile jedi, è stato maestro del secondo, indisciplinato talento della Forza – un talento che sbocciando avrebbe ucciso più o meno tutti quanti, ma questi sono dettagli. Ecco, ormai le partite tra Murray e Kyrgios, complici i fatali tabelloni, ricordano molto la relazione tra il sopraccitato Jedi e il suo Padawan. Quando Nick per la prima volta si è palesato giganteggiando di fronte al mondo, quando insomma ha battuto Nadal a Wimbledon, qualcuno ha scritto che era il prescelto di Federer, che pare lo avesse invitato ad allenarsi a casa sua, in Svizzera, perché incuriosito dal talento del ragazzo. Sembra sia tutto vero, viste le conferme dei diretti interessati, tuttavia Roger ha fatto la stessa cosa anche con altre giovani promesse, da amante del tennis qual è (di sicuro è accaduto anche con Thiem). In generale Federer è troppo, semplicemente “troppo”, per essere una figura di riferimento per Kyrgios. Troppo bravo, troppo perfetto, troppo distaccato. E infatti, col passare del tempo, tra i “fab four” è proprio Murray quello con cui Nick ha costruito il miglior rapporto, e il motivo è abbastanza semplice: oltre a essere un grande intenditore di tennis, oltre a essere intelligente (provate ad ascoltarne le disamine tecniche) e umile, Andy è l'unico – attuale - supereroe tennistico ad avere, e avere avuto, grandi, enormi problemi caratteriali. Un tratto che lo rende decisamente più umano di Federer, e sicuramente – agli occhi di Kyrgios – più vicino. 

Il surreale, spento sguardo di Kyrgios ai saluti finali.


Murray e Kyrgios negli slam si sono affrontati in quattro occasioni, una per torneo. La prima volta è stata agli Australian Open 2015, ai quarti di finale, con Nick carico ed energico nel torneo di casa: primo set combattuto, secondo conclusosi al tie-break con un pallonetto fenomenale dello scozzese, terzo sempre accalappiato da Murray, che però – pera la prima volta – ha concesso il servizio. Insomma, pur senza vincere un set Kyrgios aveva proposta una sorta di progressione. Il secondo incontro si è svolto al Roland Garros dello stesso anno, una partita senza storia, pur con un primo set discretamente equilibrato in cui l'australiano ha sfoderato colpi pazzeschi: un terzo turno dall'esito prevedibile e sostanzialmente indolore, vista la superficie. La terza partita è stata agli US Open 2015, addirittura in apertura di torneo, evento che – speriamo – non si ripeterà più: solito andamento, ma Kyrgios in questo caso è riuscito ad aggiudicarsi un set – il terzo, 6-4 con break infilato nell'ultimo game. Murray ha affrontato questi match con una serafica ed atipica calma, certo della vittoria, sapendo che – prima o poi – l'australiano avrebbe allentato la tensione, che si sarebbe perso, da solo o per colpo inferto. Tuttavia prima della partita a Wimbledon 2016 c'era la sensazione che il copione potesse non essere rispettato: innanzitutto perché negli ultimi mesi Kyrgios ha compiuto diversi progressi, in classifica (attualmente è il numero 18 del mondo) e come continuità di risultati, iniziando a vincere regolarmente contro i tennisti meno forti di lui (che, di fatto, è probabilmente la dote più importante per avanzare nel ranking). E soprattutto Nick aveva battuto Murray in un torneo che non regala punti ATP, ma che è comunque importante, ovvero l'Hopman Cup 2016: in quel caso si era imposto due set a zero. A questo andrebbe aggiunto che l'erba è la superficie – teoricamente – a lui più congeniale. Eppure tutto è andato come al solito. Un primo set molto teso e combattuto, che Nick si è lasciato sfuggire con un break subìto nell'ultimo game (7-5 per Murray) a causa di una non-impossibile volée dirottata a rete. Da lì in poi è stato il delirio: secondo set gettato al vento, terzo con break concesso a inizio parziale. E il fatto che Murray sia in forma eccezionale non giustifica minimamente la separazione tra mente e corpo causata da una volée sbagliata.

La cosa davvero interessante di questo match è che non solo giornalisti e appassionati credevano che per Nick fosse “la volta buona”: no, lo credeva anche lui. Ci credeva eccome. E infatti a fine terzo set, a mia memoria per la prima volta, non era sbruffone o provocatorio o arrogante o disinteressato: no, era disperato. Totalmente disperato e in balia della corrente. Perché, ripeto, anche lui era cosciente che qualcosa, stavolta, sarebbe dovuto cambiare. Eppure così non è andata. Questa sconfitta sarà molto importante nella carriera di Kyrgios; ho la netta impressione che possa essere uno spartiacque (non necessariamente in positivo). In conferenza stampa ha esternato tutto il suo dispiacere. Ha detto che sì, il tennis non gli piace, ma senza tennis non saprebbe proprio che fare nella vita: ne ha ammesso l'importanza – era ora. Ha detto che no, sicuramente non ha dato tutto, non ha messo tutte le sue qualità, la sua intelligenza e il suo cuore al servizio dello sport. Ha ammesso, parlando più a se stesso che ai giornalisti, che sicuramente giocare ai videogiochi e andare a vedere una sfida di doppio (due ore prima della partita, tra l'altro) non è il miglior modo di prepararsi a un ottavo di finale a Wimbledon, sul centrale, contro Andy Murray.

Per tornare alle vicinanze Stellari proposte all'inizio, Kyrgios in questo momento mi ricorda Anakin Skywalker alla fine de “L'attacco dei cloni”. Un fenomenale ragazzo presuntuoso che, fregandosene dei consigli altrui, va a combattere contro un sith impugnando due spade laser: una roba scenica, da circo appunto, come le smorzatelle e i colpi tra le gambe di Kyrgios, che lo portano a perdere e, semplicemente, ad avere un arto amputato dall'avversario (parlo di Anakin grazie al cielo, non di Kyrgios). In quel momento il giovane Skywalker capisce che non gli basta più essere la giovane speranza più attesa della galassia, che non gli basta più essere solamente il pilota più talentuoso in circolazione: no, da quel momento si mette giù e diventa un jedi, perché... perché essere battuto gli fa letteralmente schifo.

E qui torniamo a Kyrgios, e al motivo per cui sono convinto che, nonostante le profezie di molti, non sarà un nuovo Monfils. La faccia che aveva ieri alla fine del terzo era quella di una persona che odia, assolutamente odia essere battuta da qualcuno. Nick forse non amerà mai questo sport, non avrà mai la passione di Federer. Forse non sognerà mai di vincere Wimbledon. Ma una cosa è certa, comprovata: perdere non gli piace affatto, e probabilmente ha capito che il tempo dei giochi è finito. Esistono due tipi di tennisti, come dice il Maestro svizzero: quelli che amano vincere, e quelli che odiano perdere (lui si colloca nella prima categoria). Bene, se l'australiano non è abbastanza motivato e sereno per amare la vittoria, che odi la sconfitta. Che respiri e si nutra di quella sofferenza, che la faccia scorrere nelle vene. Che giochi per evitare il dolore, piuttosto che per trovare piacere. Che abbracci il lato scuro e diventi Darth Kyrgios, ma per favore: concentrazione, applicazione, cattiveria. E che il prossimo scontro con Murray sia degno di quello su Mustafar: ne potrà uscire pure sconfitto, ma tra la lava, bruciato e con gli arti recisi. Non prima.

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