Immagino che quasi tutti conosciate la
storia di Obi-Wan Kenobi e Anakin Skywalker: il primo, saggio e abile
jedi, è stato maestro del secondo, indisciplinato talento della
Forza – un talento che sbocciando avrebbe ucciso più o meno tutti
quanti, ma questi sono dettagli. Ecco, ormai le partite tra Murray e
Kyrgios, complici i fatali tabelloni, ricordano molto la relazione
tra il sopraccitato Jedi e il suo Padawan. Quando Nick per la prima
volta si è palesato giganteggiando di fronte al mondo, quando
insomma ha battuto Nadal a Wimbledon, qualcuno ha scritto che era il
prescelto di Federer, che pare lo avesse invitato ad allenarsi a casa
sua, in Svizzera, perché incuriosito dal talento del ragazzo. Sembra
sia tutto vero, viste le conferme dei diretti interessati, tuttavia
Roger ha fatto la stessa cosa anche con altre giovani promesse, da
amante del tennis qual è (di sicuro è accaduto anche con Thiem). In
generale Federer è troppo, semplicemente “troppo”, per essere
una figura di riferimento per Kyrgios. Troppo bravo, troppo perfetto,
troppo distaccato. E infatti, col passare del tempo, tra i “fab
four” è proprio Murray quello con cui Nick ha costruito il miglior
rapporto, e il motivo è abbastanza semplice: oltre a essere un
grande intenditore di tennis, oltre a essere intelligente (provate ad
ascoltarne le disamine tecniche) e umile, Andy è l'unico – attuale
- supereroe tennistico ad avere, e avere avuto, grandi, enormi
problemi caratteriali. Un tratto che lo rende decisamente più umano
di Federer, e sicuramente – agli occhi di Kyrgios – più vicino.
Il surreale, spento sguardo di Kyrgios ai saluti finali. |
Murray e Kyrgios negli slam si sono
affrontati in quattro occasioni, una per torneo. La prima volta è
stata agli Australian Open 2015, ai quarti di finale, con Nick carico
ed energico nel torneo di casa: primo set combattuto, secondo
conclusosi al tie-break con un pallonetto fenomenale dello scozzese,
terzo sempre accalappiato da Murray, che però – pera la prima
volta – ha concesso il servizio. Insomma, pur senza vincere un set
Kyrgios aveva proposta una sorta di progressione. Il secondo incontro
si è svolto al Roland Garros dello stesso anno, una partita senza
storia, pur con un primo set discretamente equilibrato in cui
l'australiano ha sfoderato colpi pazzeschi: un terzo turno dall'esito
prevedibile e sostanzialmente indolore, vista la superficie. La terza
partita è stata agli US Open 2015, addirittura in apertura di
torneo, evento che – speriamo – non si ripeterà più: solito
andamento, ma Kyrgios in questo caso è riuscito ad aggiudicarsi un
set – il terzo, 6-4 con break infilato nell'ultimo game. Murray ha
affrontato questi match con una serafica ed atipica calma, certo
della vittoria, sapendo che – prima o poi – l'australiano avrebbe
allentato la tensione, che si sarebbe perso, da solo o per colpo
inferto. Tuttavia prima della partita a Wimbledon 2016 c'era la
sensazione che il copione potesse non essere rispettato: innanzitutto
perché negli ultimi mesi Kyrgios ha compiuto diversi progressi, in
classifica (attualmente è il numero 18 del mondo) e come continuità
di risultati, iniziando a vincere regolarmente contro i tennisti meno
forti di lui (che, di fatto, è probabilmente la dote più importante
per avanzare nel ranking). E soprattutto Nick aveva battuto Murray in
un torneo che non regala punti ATP, ma che è comunque importante,
ovvero l'Hopman Cup 2016: in quel caso si era imposto due set a zero.
A questo andrebbe aggiunto che l'erba è la superficie –
teoricamente – a lui più congeniale. Eppure tutto è andato come
al solito. Un primo set molto teso e combattuto, che Nick si è
lasciato sfuggire con un break subìto nell'ultimo game (7-5 per
Murray) a causa di una non-impossibile volée dirottata a rete. Da lì
in poi è stato il delirio: secondo set gettato al vento, terzo con
break concesso a inizio parziale. E il fatto che Murray sia in forma
eccezionale non giustifica minimamente la separazione tra mente e
corpo causata da una volée sbagliata.
La cosa davvero interessante di questo
match è che non solo giornalisti e appassionati credevano che per
Nick fosse “la volta buona”: no, lo credeva anche lui. Ci credeva
eccome. E infatti a fine terzo set, a mia memoria per la prima volta,
non era sbruffone o provocatorio o arrogante o disinteressato: no,
era disperato. Totalmente disperato e in balia della corrente.
Perché, ripeto, anche lui era cosciente che qualcosa, stavolta,
sarebbe dovuto cambiare. Eppure così non è andata. Questa sconfitta
sarà molto importante nella carriera di Kyrgios; ho la netta
impressione che possa essere uno spartiacque (non necessariamente in
positivo). In conferenza stampa ha esternato tutto il suo dispiacere.
Ha detto che sì, il tennis non gli piace, ma senza tennis non
saprebbe proprio che fare nella vita: ne ha ammesso l'importanza –
era ora. Ha detto che no, sicuramente non ha dato tutto, non ha messo
tutte le sue qualità, la sua intelligenza e il suo cuore al servizio
dello sport. Ha ammesso, parlando più a se stesso che ai
giornalisti, che sicuramente giocare ai videogiochi e andare a vedere
una sfida di doppio (due ore prima della partita, tra l'altro) non è
il miglior modo di prepararsi a un ottavo di finale a Wimbledon, sul
centrale, contro Andy Murray.
Per tornare alle vicinanze Stellari
proposte all'inizio, Kyrgios in questo momento mi ricorda Anakin
Skywalker alla fine de “L'attacco dei cloni”. Un fenomenale
ragazzo presuntuoso che, fregandosene dei consigli altrui, va a
combattere contro un sith impugnando due spade laser: una roba
scenica, da circo appunto, come le smorzatelle e i colpi tra le gambe
di Kyrgios, che lo portano a perdere e, semplicemente, ad avere un
arto amputato dall'avversario (parlo di Anakin grazie al cielo, non
di Kyrgios). In quel momento il giovane Skywalker capisce che non gli
basta più essere la giovane speranza più attesa della galassia, che
non gli basta più essere solamente il pilota più talentuoso in
circolazione: no, da quel momento si mette giù e diventa un jedi,
perché... perché essere battuto gli fa letteralmente schifo.
E qui torniamo a Kyrgios, e al motivo
per cui sono convinto che, nonostante le profezie di molti, non sarà
un nuovo Monfils. La faccia che aveva ieri alla fine del terzo era
quella di una persona che odia, assolutamente odia essere battuta da
qualcuno. Nick forse non amerà mai questo sport, non avrà mai la
passione di Federer. Forse non sognerà mai di vincere Wimbledon. Ma
una cosa è certa, comprovata: perdere non gli piace affatto, e
probabilmente ha capito che il tempo dei giochi è finito. Esistono
due tipi di tennisti, come dice il Maestro svizzero: quelli che amano
vincere, e quelli che odiano perdere (lui si colloca nella prima
categoria). Bene, se l'australiano non è abbastanza motivato e
sereno per amare la vittoria, che odi la sconfitta. Che respiri e si
nutra di quella sofferenza, che la faccia scorrere nelle vene. Che
giochi per evitare il dolore, piuttosto che per trovare piacere. Che
abbracci il lato scuro e diventi Darth Kyrgios, ma per favore:
concentrazione, applicazione, cattiveria. E che il prossimo scontro
con Murray sia degno di quello su Mustafar: ne potrà uscire pure
sconfitto, ma tra la lava, bruciato e con gli arti recisi. Non prima.
Nessun commento:
Posta un commento